Asterischi
Una newsletter sull’arte e tutto quello che impari a non diventare.
Ciao, sono Federica, e questa è Una Newsletter. Uno spazio in cui provo a dare un senso alle cose, spesso fallendo, ma con una certa eleganza. Qui dentro trovi storie, pensieri sparsi e tentativi di razionalizzare il caos. Oggi parliamo di eredità involontarie.
Show don’t tell. La regola d’oro della narrazione. A scuola di scrittura ti insegnano che non devi dire che un personaggio è arrabbiato, lo devi mostrare. Fargli sbattere la porta. Fargli rompere un bicchiere. Fargli urlare contro qualcuno.
Da questo punto di vista i migliori narratori in circolazione sono i genitori. Non ti dicono chi essere. Te lo mostrano. Spesso e volentieri senza divieti espliciti, ma con silenzi. Con le assenze strategiche. Con le cene in cui l’uomo di teatro viene deriso come fosse una barzelletta. Con i concerti a cui nessuno mai si presenta. Non c’è bisogno che ti dicano: “Non diventare un’artista”. Basta che si mettano a ridere quando qualcun altro lo è.
E così, anche se tu non te ne accorgi, nella tua testa comincia a farsi spazio un’idea sottile, subdola, che ti si attacca come polvere negli angoli: essere artisti è sbagliato. E quel semino trasportato dal vento in maniera apparentemente casuale attecchisce, e nel giro di poco tempo germoglia in una splendida fioritura di emozioni negative. Senso di colpa. Esclusione. Disonore. Autocensura.
Te ne accorgi solo dopo. Trentasette anni dopo. Sei in macchina, guidi da sola in direzione Bologna. Stai andando alla Children Book Fair per provare a muovere il tuo primo passo concreto nel mondo dell’editoria, perché l’anno scorso hai scritto una storia che potrebbe diventare un albo illustrato, se qualcuno decidesse di credere nel progetto. Stai disperatamente cercando quel qualcuno.
Hai fatto tutto per benino: hai scritto una buona storia, l’hai riletta, corretta, l’hai fatta leggere, corretta di nuovo. Hai trovato un’illustratrice, dato vita ai personaggi, fatto il moodboard, le prime tavole. Hai cercato agenti letterari, che sono un po’ i talent scout del mondo editoriale. Loro leggono, valutano, dicono se un testo ha potenziale. Se ce l’ha, ti aiutano a lavorarci, ti rappresentano, lo portano nelle mani giuste. Alcuni gratis, che ti rispondono forse fra sei mesi. Altri a pagamento, che però – dicono – ti leggono davvero. Ne hai contattati un po’ e un po’, ci hai pensato e ripensato, e poi ti sei detta che non dovresti averne bisogno. Che se vali davvero, qualcuno dovrebbe accorgersene da solo. Che se paghi, è come barare.
Poi ti sei distratta. Apparentemente, la vita è piena di attività meravigliosamente attraenti a cui dedicarsi. Il corso di burlesque. Gli spettacoli. La bicicletta. Una mattina ti sei alzata e hai pensato che dovresti proprio diventare content creator, una youtuber maybe. Quasi non te lo ricordi più che hai speso ore per creare quel file excel pieno di nomi, contatti, descrizioni, clausole di agenti letterari che potresti attivare. Ogni tanto ne hai parlato con persone fidate, quando ce n’è stata l’occasione. Hai raccolto opinioni, consigli, incoraggiamenti. Qualcuno ti ha convinta a riattivare quel contatto che non sentivi da anni ma che lavorava nel settore, senza sapere bene cosa chiedere, senza sapere bene cosa aspettarsi. Ti regalo un ingresso per la fiera di Bologna, perché non fai un giro?
Nel giro di una settimana metti in piedi la presentazione: sinossi, quarta di copertina, bio, landing page, QR code da lasciare insieme al tuo bigliettino da visita. Ti sei persino quasi convinta che in fondo sì, potresti anche farcela. Proviamo.
E così succede che sei in macchina e guidi verso Bologna. Hai paura. Ce l’hai da giorni. Stai uscendo dalla tua zona di comfort. Tu sei brava a scrivere, mica a parlare con le persone. Figuriamoci a vendere. Ma a un certo punto, nella monotonia dei tuoi pensieri cullati dal piattume della campagna tra Lombardia ed Emilia Romagna, riesci a fermare la pallina del flipper che ti frulla in testa, e capisci
che è tutto sbagliato
che non è perché non hai abbastanza tempo
non hai conoscenze
o perché “lì fuori è tutto un magna magna”
che non riesci a diventare una vera scrittrice.Ma perché
solo
non hai mai trovato il coraggio
di mandare affanculo tuo padre.
Le sue cazzo di opinioni che non hai mai chiesto. I suoi cazzo di insegnamenti che non hai mai voluto. Quella inclinazione infestante a non riuscire deludere nessuno - a parte te. Ecco cosa ti ha portato fino a qui, ora.
Che tuo padre avesse un problema con l’arte, l’hai capito presto. Che quel problema ce l’avessi anche tu, ci hai messo una vita per scoprirlo. Tutti quei silenzi, quelle battute a cena, quelle assenze ai concerti – erano il brodo in cui hai cucinato, a fuoco lento, la tua artistofobia. Una paura invisibile, travestita da buonsenso, che ha messo un cartello all’ingresso sui tuoi desideri: "Va bene sognare, ma senza esagerare."
E così hai firmato, dentro di te, un patto non scritto ma rigidissimo: puoi essere creativa, se ti riesce. Ma non artista. Puoi scrivere, certo. Ma solo finché quella scrittura è produttiva. Monetizzabile. Legittima. Solo finché, se qualcuno ti chiede “che lavoro fai?”, puoi rispondere con qualcosa che non faccia ridere nessuno a cena.
E così ripensi alla scuola di scrittura. Quando hai deciso di investire tutto su di te e ti sei iscritta alla Holden. Ma anche lì, non hai scelto narrativa, editoria, poesia. No, tu hai scelto il Digital, il settore che andava forte, quello che ti permetteva di mantenere un’apparenza di utilità.
Ripensi all’università. A quando avevi espresso il desiderio di studiare musica, forse il conservatorio, ma ti hanno detto che non era il caso. Che era meglio il design. Che almeno il design è utile. Funzionale. Sostenibile.
Ripensi a quando, a vent’anni, ascoltavi i racconti dei grandi a tavola. Tuo padre che tornava a casa e prendeva per i fondelli il fidanzato della segretaria. Quello che faceva l’attore. Non come hobby. Proprio come lavoro. Raccontava delle sue prove e rideva. Raccontava di come si vestiva per andare in scena e rideva. Bastava un servizio culturale al tg per far scaturire l’ilarità.
E capisci che sono decenni che fai compromessi involontari con te stessa, che lotti contro un’eredità familiare che non hai mai voluto. Quel semino che, portato dal vento di un conflitto silente ti si è piantato nella testa e si è incarnato. È diventato postura, decisioni, scelte professionali apparentemente autonome che, viste da qui, sovrapposte alla campagna emiliana, hanno il sapore del compromesso.
Essere te stessa
ma con l’asterisco.
Lasciare andare certe convinzioni è una faticaccia. Le abbiamo adottate come nostre, come verità assolute, e serve tantissimo impegno per decidere di rifiutarle. Hanno radici profonde, perché quasi sempre te ne accorgi troppo tardi. Tipo trentasette anni dopo, mentre guidi da sola in direzione Bologna, alla ricerca di qualcuno che voglia credere nel tuo progetto. Guidi e realizzi che pubblicare questa storia ti farà tremare le gambe.
Perché non lo hai mai fatto prima.
Perché non hai conoscenze in questo mondo.
Perché non sei una vera scrittrice.
Perché papà probabilmente ne sarà dispiaciuto.
Perché c’è una parte di Federica che non è mai uscita dal recinto e non sa cosa potrà succedere fuori.
Sarà complicato soprattutto perché, per farlo, dovrai combattere la paura di cancellare l’asterisco che ti porti dietro da una vita, e scoprire chi sei veramente. Perché dovrai smettere di cercare qualcuno che ci creda, e cominciare a farlo tu.
Note a piè di me
Aggiornamenti fuori dal piano editoriale
Ho compiuto 37 anni. Per combattere la paura di essere già vecchia e noiosa il mese prossima salirò su un palco. Nuda.
Ho quasi adottato il mio quasi primo cane: Gino.
Gli Avengers dei ciccioni si sono coalizzati e mi hanno fatto lavorare sulla fiducia. La psi sul dare fiducia alle mie intuizioni. La nutrizionista sul dare fiducia al corpo anche quando aumenta di 1 kg e mezzo in meno di due settimane, che non vuol dire che lui è stronzo o che allora da qui in avanti ingrasserà di 3 kg al mese. Tocca fidarsi.
Se sei arrivato a leggere fino a qua: grazie. Ti voglio bene.
Ne vorresti ancora, e ancora, e ancora? Per tutto il mese approfondiamo l’argomento e raccontiamo disagi minori qui.
Ti ci hanno mandato? Potresti pensare di iscriverti.





Ciao🤚 se avessi iniziato a fare quello che sentivo davvero 10 anni fa mi sarei risparmiata tanti schiaffoni e avrei risparmiato tanti tanti soldi. Ora arranco provandoci e scritti come questo aiutano. Grazie
Anche se la mia storia è diversa, per anni sono stata esposta a semini che non solo sembravano innocui, ma addirittura gratificanti. La coltivatrice è stata mia madre.
A quattro anni ho imparato a leggere da sola, divoravo qualsiasi pagina stampata, che fosse un fumetto o la scatola dei biscotti.
A sei anni scrivevo già meglio di metà dei miei attuali colleghi, la scuola mi piaceva e andavo bene. E lì sono iniziati i semini: sei brava come tuo zio Pino, quando si è diplomato ragioniere con 60 l'hanno chiamato subito in banca, adesso è direttore. Ero contenta, il mondo aspettava solo me!
In terza media i professori mi consigliano di fare il classico, al massimo lo scientifico, ma io non ho tempo da perdere con un liceo: ehi, sono come mio zio, devo andare in banca, diventare ricca! Le mie amiche del cuore scelgono ragioneria, la mia strada è segnata. Arriva il diploma e ovviamente non mi chiama nessuno: nel frattempo il mondo è cambiato, ma si sono dimenticati di dirmelo.
Per fortuna il ragazzo che mi piaceva all'epoca aveva scelto ragioneria programmatori, così al terzo anno ho scoperto l'informatica. Subito è diventata una passione e il mio futuro. Ma mi resta il dubbio di quello che potevo essere al netto di quei semini